Responsabilità del dirigente medico e sanitario
La vita e l’integrità fisica della persona umana sono beni primari costituzionalmente protetti. A garanzia di tali beni l’ordinamento ha previsto una tutela penale contro le condotte lesive. Sotto un profilo penale, i principali reati ascrivibili al sanitario sono essenzialmente due: a) l’omicidio colposo, regolato dall’art. 589 c.p. (“Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”), e le lesioni personali colpose di cui all’art. 590 c.p. (“Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi…Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi…, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni…”). Il reato è definito dalla legge (v. art. 43 c.p.):
- doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione;
- preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente;
- colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La condotta colposa può consistere in atti commissivi (culpa in agendo) od omissivi (culpa in omittendo).
Bisogna distinguere una colpa generica, che si concretizza nella negligenza, imprudenza, imperizia e una colpa specifica che consiste nella violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline (ad esempio, mancato rispetto delle procedure sulla trasfusione del sangue). Si ha negligenza quando il medico, per disattenzione, dimenticanza, disaccortezza, svogliatezza, leggerezza, superficialità o altro, trascuri quelle regole comuni di diligenza, richieste nell’esercizio della professione e osservate dalla generalità dei medici. Si ha imprudenza quando il medico agisce con avventatezza, eccessiva precipitazione o ingiustificata fretta, senza adottare quelle cautele consigliate dalla ordinaria prudenza o dall’osservanza di precauzioni doverose. Si ha imperizia quando la condotta del medico è incompatibile con quel livello minimo di cognizione tecnica, di cultura, di esperienza e di capacità professionale, che costituiscono il presupposto necessario per l’esercizio della professione medica.
Come viene accertata la responsabilità penale del sanitario rispetto ad uno specifico evento?
In tema di responsabilità penale si deve anzitutto accertare il nesso di causalità tra il fatto dannoso riportato dal paziente e il comportamento del medico curante. La colpa non è astrattamente configurabile, ma richiede l’effettiva dimostrazione del legame diretto tra la condotta (commissiva od omissiva) del medico ed evento dannoso.
In particolare, secondo la giurisprudenza, il rapporto di causalità tra condotta omissiva e l’evento lesivo sussiste solo quando si accerti che, se fosse stata posta in essere la condotta doverosa omessa, l’evento concretamente verificatosi sarebbe stato evitato “con una probabilità di grado elevato vicino alla certezza, e cioè con un alto grado di probabilità logica ovvero con una elevata credibilità razionale (causalità “forte”)” (Sentenza “Franzese” Cass. Sez. Un. Pen. 11.9.2002, n. 30328).
Che differenza c’è tra colpa grave e colpa lieve in ambito penale?
Come deve essere valutato il livello di colpa?
Se mi attengo alle linee guida sono esonerato da eventuali responsabilità penali?
In astratto, la colpa del medico o del sanitario non è né grave, né gravissima, né lieve, ma lo può essere solo in concreto, all’esito di uno specifico accertamento che giustifica un tale giudizio. Infatti, non si può giudicare alla stessa maniera la condotta del medico che ha operato in un centro ben attrezzato ed è stato coadiuvato da collaboratori specializzati ed esperti rispetto a quella di chi è costretto ad intervenire in condizioni difficili e di urgenza.
Ciò si desume, indirettamente, anche da quanto previsto dal codice civile in materia di diligenza del professionista, secondo cui “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata” (v. art. 1176, co. 2, cod. civ.). In altri termini, il professionista è un soggetto che deve avere una preparazione professionale particolarmente elevata, e pertanto la sua diligenza professionale andrà valutata con i parametri della capacità propria di un medico esperto in quello specifico settore di intervento. È anche previsto, infatti, che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, (c.d. prestazioni complesse – art. 2236 cod. civ.) il prestatore d’ opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave.
Per colpa grave, deve quindi intendersi, il compimento da parte del professionista di un errore grossolano, dovuto essenzialmente alla violazione di quelle fondamentali regole dettate dalla tecnica, dalla cultura e dall’esperienza professionale, che costituiscono il presupposto necessario per l’esercizio della professione medica. Di recente la c.d. riforma “Balduzzi” (v. L. n. 189/2012), nel tentativo di depenalizzare la colpa lieve e quindi di circoscrivere la responsabilità penale del sanitario alle sole ipotesi di colpa grave, ha introdotto il concetto di linee guida, stabilendo che l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità non risponde penalmente per colpa lieve, ferma restando la responsabilità di tipo civile (v. art. 3, L. n. 189/2012).
ATTENZIONE: le linee guida riguardano e contengono solo regole di perizia e non afferiscono ai profili di negligenza e di imprudenza del medico. Quindi, la previsione della legge Balduzzi, che esclude la responsabilità penale del medico in caso di colpa lieve, non trova applicazione nelle ipotesi di accertata negligenza o imprudenza. Ciò significa, in sostanza, che se il medico è stato negligente o imprudente nell’esecuzione dell’intervento, con colpa anche non grave, può essere comunque punito penalmente.
In cosa consiste la responsabilità civile del dirigente sanitario?
Che differenza c’è tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale?
Come medico dipendente rispondo civilmente per responsabilità contrattuale od extracontrattuale?
La condotta illecita del professionista, oltre a rilevare sul piano penale, può determinare anche conseguenze sul piano patrimonialistico risarcitorio e, quindi, sotto il profilo della cosiddetta responsabilità civile. Affinché il sanitario possa essere ritenuto civilmente responsabile dei danni provocati al paziente devono realizzarsi le seguenti condizioni: il sanitario deve avere avuto una condotta colposa nell’esecuzione della prestazione professionale, si deve realizzare un danno al paziente, deve essere dimostrato il nesso di causalità materiale tra l’azione od omissione del medico e l’evento lesivo, ed infine l’evento dannoso deve essere prevedibile. In generale, la responsabilità civile si distingue in responsabilità di tipo contrattuale e responsabilità di tipo extracontrattuale.
La responsabilità contrattuale (v. art. 1218 c.c.) riguarda tutte le forme di responsabilità derivanti da un rapporto di obbligazione contrattuale esistente tra le parti (contratto), il cui inadempimento o l’inesatto adempimento può determinare un danno risarcibile; mentre la responsabilità extracontrattuale (v. art. 2043 c.c.) non presuppone alcun rapporto contrattuale preesistente tra le parti, ma deriva da un atto illecito, ossia dalla violazione del generale obbligo che ricade su ciascun consociato di non arrecare ad altri un danno ingiusto (principio del neminem laedere).
La differenza tra le due tipologie di responsabilità ha importanti ricadute sul piano dell’accertamento della colpa civile del professionista. In particolare, nel caso di responsabilità contrattuale l’onere della prova ricade sul sanitario che dovrà dimostrare di non aver tenuto una condotta colposa nei confronti del paziente e quindi di aver tenuto un comportamento corretto, viceversa nella responsabilità extracontrattuale è il paziente che deve dimostrare non solo l’evento dannoso ma anche la colpevolezza (dolo o colpa) del sanitario. Inoltre, mentre l’azione civile per responsabilità contrattuale si prescrive in 10 anni, quella per responsabilità extracontrattuale si prescrive nel più breve termine di 5 anni. Secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, la responsabilità civile del sanitario dipendente di una azienda sanitaria (medico strutturato), ha comunque natura contrattuale, anche se non viene stipulato un effettivo contratto scritto tra medico e paziente.
Tale soluzione giurisprudenziale si fonda sulla tesi (di matrice tedesca) del c.d. “contatto sociale”, secondo cui nel momento in cui il paziente si rivolge ad un medico strutturato si verifica un contatto sociale che determina di per sé l’instaurazione di un rapporto giuridico di fatto. In altri termini, il paziente, a seguito di atti o iniziative del medico con cui viene in contatto e offre le proprie cure, è indotto a ritenere sussistenti doveri e pretese di comportamento: ovvero quegli specifici obblighi di cura che sono imposti al professionista nell’esercizio della propria arte medica. Di recente, tuttavia, si è registrata un’inversione di tendenza da parte della giurisprudenza di merito (v. Trib. Milano, 17 luglio 2014) secondo cui, da un’attenta analisi delle disposizioni contenute nella riforma Balduzzi del 2012 (v. sopra, art. 3 L. 189/2012), si evincerebbe l’intenzione del Legislatore di ricondurre la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) nell’alveo della responsabilità extracontrattuale da fatto illecito e non più della responsabilità contrattuale, per cui l’obbligazione risarcitoria può scaturire solo in presenza di tutti gli elementi propri della responsabilità extracontrattuale che il paziente danneggiato ha l’onere di provare nel termine di prescrizione quinquennale.
Nel caso di medico dipendente del SSN, la responsabilità civile ricade anche sulla struttura ospedaliera?
Devo rispondere personalmente dell’eventuale danno arrecato al paziente o deve farlo l’azienda?
In cosa consiste l’azione di rivalsa per colpa grave?
L’Azienda sanitaria pubblica risponde dei danni causati ai pazienti ivi ricoverati sulla base di un rapporto contrattuale atipico. Difatti, secondo l’evoluzione giurisprudenziale, tra Azienda sanitaria pubblica e paziente ricoverato, intercorre un contratto di “spedalità”, in cui le prestazioni a carico dell’ente non si esauriscono nell’espletamento della prestazione sanitaria, ma comprendono anche obblighi accessori e strumentali di protezione (come ad esempio ricovero, forniture di servizi infermieristici, ristorazione, sicurezza degli impianti e delle attrezzature, nonché la loro sistemazione logistica, turni di assistenza e vigilanza, custodia del paziente, ecc.), il cui inadempimento fa sorgere una responsabilità a carico della struttura sanitaria che è di natura contrattuale. In virtù di tale contratto, valgono i principi civilistici sull’inadempimento contrattuale, per cui il debitore, che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi (es. medici e sanitari), risponde anche dei fatti colposi di costoro (v. art. 1218 c.c.).
Il riconoscimento della responsabilità medica genera, quindi, una responsabilità solidale passiva tra più soggetti (struttura e personale medico) nei confronti del paziente; tuttavia, proprio perché solidale, il rapporto tra gli obbligati fa sorgere, in capo al “soggetto adempiente” il diritto di regresso o di rivalsa nei confronti degli altri coobbligati. Tale diritto di rivalsa, nei casi di rapporto di pubblico impiego, sussiste solo nelle ipotesi di dolo colpa grave, e viene fatto valere in via esclusiva dalla Corte dei Conti. Il giudizio di responsabilità amministrativa da parte della Corte dei Conti nei confronti dei dipendenti pubblici è indipendente rispetto al giudizio civile e penale, in quanto si fonda su presupposti diversi. Nello specifico, affinché si possa configurare la responsabilità erariale/amministrativa del medico (strutturato o convenzionato) sono necessari i seguenti elementi: la violazione degli obblighi che scaturiscono dal rapporto di servizio; l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave; il danno erariale (perdita patrimoniale per l’amministrazione certa, liquida ed esigibile); il nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo ed il danno.
Come medico in formazione specialistica posso essere ritenuto responsabile penalmente?
Sebbene il medico in formazione specialistica, non disponga di adeguate e sufficienti competenze professionali e nonostante egli svolga la propria attività sotto le direttive e la responsabilità del tutore e quindi con una ridotta sfera di autonomia, tuttavia, in determinati casi, può essere chiamato a rispondere sul piano penale delle proprie condotte. In particolare, la Cassazione (v. Cass. n. 6981/2012), ha stabilito il principio secondo cui se lo specializzando non è (o non si ritiene) in grado di compiere certe attività deve rifiutarne lo svolgimento perché diversamente se ne assume la responsabilità. Si tratta della c.d. colpa in assunzione, ravvisabile in chi cagiona un evento dannoso essendosi assunto un compito che non è in grado di svolgere secondo il livello di diligenza richiesto all’agente modello di riferimento.