Precariato
Il legislatore con la legge n. 125/2013, ha introdotto specifiche procedure di stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni, che potranno essere attivate dalle pubbliche amministrazioni fino al 2018, a condizione che:
a) siano disponibili posti in organico;
b) sussista un’effettiva capacità assunzionale, tenendo conto dei vincoli di spesa e di bilancio;
c) esista un reale fabbisogno di personale, d) nel limite de 50% delle risorse assunzionali previste.
Con successivo DPCM del 6 marzo 2015, il legislatore ha esteso tali procedure anche al personale della dirigenza e del comparto del ssn. In ogni caso, il ricorso alla procedure di stabilizzazione del personale precario da parte della Pubblica Amministrazione ha natura facoltativa e non si configura come un diritto soggettivo per gli interessati. Per quanto riguarda la platea dei soggetti che possono partecipare, il richiamato DPCM prevede che le procedure di stabilizzazione sono rivolte “al personale che alla data del 30 ottobre 2013 abbia maturato negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio, anche non continuativo, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, anche presso enti del medesimo ambito regionale diversi da quello che indice la procedura” (v. art. 2, co. 2, DPCM 9 marzo 2015). Restano quindi esclusi tutti coloro che non hanno maturato i requisiti di anzianità alla data del 13 ottobre 2013 o che li abbiano maturati con contratti di natura autonoma, libero professionale, di collaborazione o comunque con contratti diversi dal rapporto subordinato. L’anzianità di servizio richiesta dalla legge, potrà essere maturata anche presso amministrazioni sanitarie diverse rispetto a quella che ha indetto il concorso, purché dello stesso ambito regionale.
Il contratto a tempo determinato del dirigente medico può essere prorogato fino ad un massimo di cinque anni. Tale limite è ricavabile dalla disciplina generale sulle assunzioni a tempo determinato, ora contenuta nel D.lgs. n. 81/2015, la quale prevede, per il personale con qualifica dirigenziale, la possibilità di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato, “purché di durata non superiore a cinque anni” (v. art. 29, D.lgs. 81/2015). Il superamento di tale limite, può dare luogo ad un’azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione, mentre la possibilità di chiedere una stabilizzazione per via giudiziale risulta difficile a causa dal principio costituzionale dell’accesso concorsuale previsto anche per la dirigenza sanitaria. Ciò posto, va comunque osservato che, di recente, la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (sentenza del 26.11.2014) nei casi di violazione della normativa sul contratto a termine nel pubblico impiego, ha addirittura affermato l’obbligo per lo Stato italiano di convertire il rapporto a tempo indeterminato. Sebbene la decisione della Corte Europea riguardi il settore scolastico italiano, tuttavia i principi ivi espressi potrebbero trovare applicazione anche nei confronti dei dirigenti sanitari assunti con reiterati contratti a tempo determinato dalle aziende sanitarie. Al riguardo l’ANAAO Assomed promuove specifiche iniziative legali da intraprendere sul territorio per affermare il diritto alla stabilizzazione anche nei confronti di personale medico precario in possesso di determinati requisiti (essere tuttora in servizio con contratto a tempo determinato con qualifica di dirigente sanitario; aver prestato servizio alle dipendenze della stessa Azienda sanitaria per più di cinque anni mediante la successione di due, o più contratti a tempo determinato; essere stati assunti a tempo determinato mediante chiamata da graduatorie di concorsi effettuati per l’assunzione a tempo indeterminato, o, comunque, da selezioni per titoli e colloquio, che abbiano comportato una vera valutazione comparativa tra i candidati con predisposizione di una graduatoria finale).
Il continuo impiego di personale sanitario con contratti di lavoro atipici o autonomi, come i co.co.co., che comportano di fatto lo svolgimento di mansioni assimilabili a quelle di un medico dipendente, può costituire il presupposto per rivendicare l’accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto con conseguente riconoscimento delle differenze retributive e contributive previste per il personale dipendente, oltre al risarcimento del danno. Difatti, l’assegnazione del professionista con contratto di lavoro autonomo o parasubordinato a turni di servizio quali guardie o reperibilità, con precisi vincoli di orario settimanale, così come l’esistenza di un meccanismo di rilevamento della sua presenza, l’adozione di misure disciplinari, o l’applicazione di direttive specifiche sulle modalità di esecuzione della prestazione, sono tutti indici che denotano un utilizzo improprio di tale tipologia contrattuale e che di fatto “mascherano” l’esistenza di veri e propri rapporti di natura subordinata. Per un esito positivo dell’azione giudiziale è necessario che il lavoratore riesca a dimostrare in concreto (circostanza spesso non facile) la sussistenza di tutti i predetti indici di subordinazione.