Patrocinio legale
L’Azienda sanitaria, qualora non sussista un conflitto d’interesse, è tenuta a sostenere ogni onere di difesa dei propri dirigenti coinvolti nei procedimenti civili, penali e contabili. Nello specifico, la contrattazione collettiva della dirigenza sanitaria (v. art. 25, CCNL 8.6.2000), nel regolare l’istituto del patrocinio legale, prevede che l’azienda, nella tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile, contabile o penale nei confronti del dirigente per fatti o atti connessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti di ufficio, assume a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interesse, ogni onere di difesa fin dall’apertura del procedimento e per tutti i gradi del giudizio, facendo assistere il dipendente da un legale, previa comunicazione all’interessato per il relativo assenso. Nel caso in cui, il dirigente medico volesse nominare un legale di sua fiducia, in sostituzione o a supporto di quello nominato dall’azienda, i relativi oneri saranno posti a sua a carico.
Tuttavia, in caso di conclusione favorevole del procedimento, il dirigente avrà diritto ad essere rimborsato delle spese legali sostenute entro i limiti delle tariffe che l’azienda avrebbe sostenuto per le spese del proprio legale. Tale garanzia si applica anche nei casi in cui al dirigente, prosciolto da ogni addebito, non sia stato possibile fornire un legale da parte dell’azienda per presunto conflitto di interesse. Viceversa, qualora il dirigente venisse condannato con sentenza passata in giudicato, sarà tenuto a restituire gli eventuali oneri sostenuti dall’azienda per i fatti a lui imputati commessi con dolo o colpa grave.
Dall’analisi complessiva della disposizione contrattuale, così come interpretata dalla giurisprudenza amministrativa e contabile, per “conclusione favorevole del procedimento” bisogna intendere solo i casi di sentenza di assoluzione con formula liberatoria piena del tipo: “Il fatto non sussiste”, “il fatto non costituisce reato oppure non è previsto dalla legge come reato”, oppure “l’imputato non ha commesso il fatto” (v. art. 530, co. 1, c.p.p.). Non valgono, quindi, ai fini del rimborso, la sentenza di prescrizione, il proscioglimento per amnistia, e tutte quelle formule decisorie intermedie che non conferiscono certezza sull’inesistenza del contrasto di interessi tra l’amministrazione e dipendente.